Capitolo 21: I fotografi di Padre Pio
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Modesto Vinelli, Federico Abresch, Giovanni Amorico, Elia Stelluto, Gaetano Mastrorilli, Padre Placido Bux, Padre Giacomo Piccirillo |
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Fotografare Padre
Pio non era cosa facile Mary Pyle a Maria Winowska nel 1955: "Per molti anni i fotografi si sono accaniti inutilmente, di fronte, di dietro, di fianco, introducendosi di nascosto, cercando di sorprenderlo: le pellicole rimanevano intatte. La stessa macchina fotografica poteva prendere vedute impeccabili: ma quando l'apparecchio era fissato sul Padre, lo scatto operava a vuoto. C'era da piangere. Ora non si sottrae più, ma tutte le fotografie che vedete sono recenti. Stanchi di lottare, sollecitati da ogni parte, i suoi superiori gli hanno ordinato (nel 1953) di non rendere più insensibili le pellicole." (Winowska, Il vero volto, 48) (Pio Capuano, Con P. Pio, 282-3) Padre Guglielmo Alimonti testimonia che nel periodo in cui accompagnava Padre Pio sorreggendogli il braccio, aveva chiesto in anticipo a un sacerdote francese che aveva una macchina fotografica in mano, di fare una foto di lui con Padre Pio quando passavano nel corridoio. Il prete gli disse di si, ma "tu chiedi permesso al Padre col pensiero, così non mi sgrida". Quando arrivò il momento, il sacerdote stava in ginocchio come pietrificato e non non toccò la macchina fotografica. Padre Pio stette immobile per quasi due minuti, come se stesse in attesa di quella foto. Poi mi guarda e si stringe le spalle per farmi capire: "Ti devi rassegnare, la foto non si fa." (Alimonti, I miei giorni con Padre Pio, 46-7) "La presenza di un fotografo lo infastidiva sempre e lo faceva chiudere a riccio. Non di rado, quando si vedeva preso di mira da un obiettivo, mostrava la schiena. Padre Pio aveva un volto stupendo, che le fotografie esaltavano. Si potrebbe scrivere la vita del santo di Pietrelcina anche soltanto interpretando certe immagini." (Alessando Pronzato, Padre Pio: Un santo scomodo, Gribaudi Editore, Milano, 2002, pag. 121) Mario De Renzis Mario De Renzis, decano dei fotoreporter, per tanti anni capo dei "paparazzi" de "Il Tempo", rievoca una giornata del '59 a San Giovanni Rotondo, il 25 aprile 2008: «Avevo neanche vent'anni, Angiolillo, il direttore de "Il Tempo", mi spedì a San Giovanni Rotondo con Ettore Della Giovanna, l'inviato. Voleva immagini a colori per l'inserto domenicale. Partii con la Contax di Angelo Frignani, il capocronista, più una macchina mia. Arrivo davanti alla chiesa di Padre Pio, e i colleghi mi scoraggiano. "Non t'illudere, non combini niente". Mi rassegno a qualche scatto di colore, la vecchietta che prega, l'ospedale in costruzione. Poi ci ripenso, entro in chiesa, chiedo ai frati di Padre Pio. E quelli: "Ce l'hai davanti"». Una bella fortuna. «L'inizio dell'enigma. Qualcuno grida "chi è stato?" C'è aria di parapiglia, io scappo nel chiostro, imbocco certe scale. Mi trovo di fronte una stanzetta. Dentro c'è Padre Pio. Che un attimo prima stava giù». Impietrito dalla meraviglia? «Macché. Comincio a scattare con la Contax, in bianco e nero. Lui è in controluce, non faccio in tempo a montare il flash. Due, tre, cinque clic, punto alle mani, fasciate di cuoio nero. Smetto quando mi dice: "Basta con questa macchinetta per fare il caffè". Rimetto tutto a posto, ma mi guardo intorno spaurito. "Vai tranquillo, non ti preoccupare", mi congeda». Aveva ragione? «Sembrava di sì. Non ho altre vie di fuga, mi tocca rientrare in chiesa. Nessuno mi nota. Esco, nessuno mi insegue. Fuori trovo una macchina dei carabinieri. La frittata è fatta, penso. Ma quelli mi offrono un passaggio fino a Foggia». Rientro trionfante in redazione. «Invece no. Perché quando vado a sviluppare il rullo, non c'è niente, solo la prima foto in esterno. Eppure la macchina l'avevo caricata a Roma, la pellicola non poteva essersi sganciata perché sentivo la ricarica, mentre scattavo. Che è successo, non lo so». Che è rimasto di quell'incontro? «Il fascino, quando gli sfiorai la mano. A casa ho una sua immagine, qualche volta la guardo. Ma capire, no». http://evergreen-quattrochiacchiere.blogspot.com/2008/04/padre-pio-si-fece-fotografare-ma-nel.html |
Modesto Vinelli il primo fotografo |
Un impensabile conto alla rovescia dal Numero 46 del 23 novembre 2014 de "Il Settimanale di Padre Pio" |
La morte è il punto
culminante dell’esistenza umana. L’esame ultimo. I primi cristiani la
chiamavano “il giorno della nascita”, intendendo che non era la tappa
conclusiva di un tragitto, bensì un traguardo da cui partiva qualcosa di
nuovo, di importantissimo. Era l’inizio della vita vera, che non avrebbe
mai avuto fine: quella del “Regno dei Cieli”, che Cristo aveva promesso
ai suoi seguaci. La morte fa paura, giustamente, poiché l’istinto di
conservazione è fortissimo in ogni essere. Per questo ogni essere
rifiuta la morte, la teme, la combatte. Ma per il cristiano essa
dovrebbe avere anche quelle connotazioni suggerite dalla fede, che
permettono di “vedere” al di là dell’istinto di conservazione [...]. Padre Pio era stato chiamato all’esperienza mistica, e fu dotato quindi di carismi straordinari. Tra essi quello di conoscere, in forma misteriosa, l’avvenire di certe persone e anche il proprio. Sono numerose le testimonianze, che dimostrano come egli conoscesse il giorno e l’ora della sua morte. Ma nonostante questa conoscenza e quantunque nel corso della sua vita avesse avuto diverse volte il conforto di visioni celesti, anche Padre Pio aveva paura della morte. Un giovane fotografo di San Giovanni Rotondo, Modesto Vinelli, aveva avuto la fortuna di scattare nell’ottobre del 1918 alcune immagini di Padre Pio, nelle quali si vedevano benissimo le stigmate; e le vendeva alla gente. Un giorno un tale, osservando quelle immagini, cominciò a bestemmiare e a imprecare contro il Padre, chiamandolo imbroglione. Il fotografo reagì, litigò furiosamente e finì in prigione. Tornato in libertà dopo quaranta giorni, andò a trovare Padre Pio e gli disse: «Per causa vostra sono andato in galera», e gli raccontò quanto era accaduto. Padre Pio ascoltò e poi rispose: «Modesto, non te la prendere. Abbiamo cinquant’anni dinanzi a noi». Quella frase divenne un ritornello. Vinelli era amico di Padre Pio e ogni anno, il 20 settembre, giorno anniversario della comparsa delle stigmate, andava a trovarlo. E ogni volta il Padre ripeteva la frase, con l’unica variante che il numero degli anni diminuiva gradualmente. «Modesto, abbiamo ancora trent’anni davanti a noi... venticinque anni... venti... quindici...». E ogni anno si presentava all’incontro con il cuore in tumulto. «Modesto ci restano ancora dieci anni... cinque... tre... due...». Il 20 settembre 1968, quando si presentò all’incontro, Vinelli sudava freddo. Era accompagnato da padre Alberto D’Apolito [...]. Padre Pio salutò l’amico affettuosamente, come sempre, e fissandolo negli occhi disse: «Caro Modesto, i cinquant’anni sono passati». Per poco Vinelli non cadde per terra stecchito. Uscì dalla stanza del Padre, tremando come una foglia. Due giorni dopo Padre Pio morì, mentre Vinelli visse altri quindici anni. Padre Pio conosceva, quindi il giorno della propria morte. Ma aveva paura del traguardo [...]. Era uomo e subiva i ricatti dell’istinto di conservazione. Lo dimostra il fatto che, quando la morte si portava via un amico, un parente, soffriva e piangeva per il dolore. Come del resto era accaduto a Gesù, quando gli dissero che era morto il suo amico Lazzaro. Renzo Allegri, Padre Pio Papa Giovanni. Guide del nostro tempo, pp. 69-70; 76-79. |
Modesto Vinelli in azione: |
Un'immaginetta con una fotografia
di Padredi Padre Pio fatta il 24 giugno 1919 Fotografia eseguita durante la celebrazione della Messa nella Chiesa del CONVENTO DEI CAPPUCCINI il giorno 4 giugno 1919. S. GIOVANNI ROTONDO" Un'altra immaginetta di Padre Pio con fotografia fatta il 27 giugno
1919
Istantanea del 27 giugno 1919. San Giovanni Rotondo (Foggia) Convento dei Cappuccini" |
Elia Stelluto |
Elia Stelluto, classe 1935, gli spetta di diritto il titolo di “fotografo di Padre Pio”. Anche perché è stato praticamente l’unico ad aver ottenuto dal Padre una tacita autorizzazione a fotografarlo.
Padre Pio non amava essere ritratto, anzi, odiava avere attorno fotografi e sentire l’obiettivo puntato su di sé. Elia però era speciale. Per Padre Pio era come un figlio. Cresciuto nei pressi del convento, Elia ancora ragazzo si era messo a fare fotografie e il Padre ne era orgoglioso e gli permetteva di essere da lui ripreso incondizionatamente. Per questo Elia Stelluto ha potuto scattare delle immagini che nessuno altro avrebbe potuto fare. Immagini anche della vita privata del Padre, a migliaia.
«Avevo una tale confidenza con Padre Pio che gli ho sempre dato del tu», ha raccontato Elia.
«Per me era come un papà. Avevo perfino la chiave del convento, potevo entrare quando volevo. Salivo nel corridoio del primo piano e andavo direttamente nella sua camera. La porta era sempre aperta. Poi mi fermavo a chiacchierare con lui e ne approfittavo sempre per fare qualche fotografia».
«La mia prima foto a Padre Pio risale al 1947. Avevo 12 anni. Facevo dei lavoretti nel negozio di Federico Abresh, un fotografo di origine svizzera, convertito da Padre Pio, che da anni si era trasferito a San Giovanni Rotondo e aveva un negozio di articoli religiosi e di immagini del Padre. Ero affascinato dalla fotografia e Abresh mi permetteva di osservarlo mentre lavorava e stampava. E imparavo».
«A 12 anni, facendo sacrifici immensi, riuscii a comprarmi una piccola macchina fotografica, una Condoretta, la più economica che c’era in commercio, e feci le prime foto a Padre Pio. Le portai ad Abresh che rimase contento ma anche stupito, perché ero riuscito a fotografare il Padre all’interno del convento, dove nessun estraneo poteva entrare. Abresh capì subito che io, avendo confidenza con il Padre, potevo fare delle foto che nessun altro era in grado di fare. Mi incoraggiò e mi sollecitò allora continuare».
Stelluto ricorda che a Padre Pio non importava niente delle foto e quindi non si metteva mai in posa. Accettava, o meglio “subiva”, per fare un piacere a chi lo fotografava. «Io gli facevo vedere sempre tutte le foto che scattavo», ha detto Elia. «Lui le guardava contento. Aveva delle preferenze. Diceva: “Questa mi piace”, oppure: “Guarda come mi hai fatto brutto”. Rideva, scherzava. Ma restituiva tutto. Mai una volta che mi abbia detto: “Questa foto distruggila”. Oppure: “Utilizza questa che è venuta meglio”.
Forse non si era reso conto che, crescendo, ero diventato un fotografo professionista. Mi considerava sempre il ragazzino, il chierichetto. “Uagliò”, mi chiamava sempre. Oppure, sapeva tutto, ma fingeva di non sapere niente per permettermi di guadagnare qualcosa. Si era certamente accorto che, con quel lavoro, le mie condizioni di vita erano migliorate e anche quelle della mia famiglia ne avevano avuto un vantaggio. Di questo era molto contento». Foto ricordo del giovane Elia Stelluto con Padre Pio. «Nel 1954 andai a salutarlo perché partivo per l’Argentina. Mia madre, su consiglio di Padre Pio, aveva deciso di raggiungere papà che laggiù aveva trovato un buon lavoro. Ero molto addolorato nel dover lasciare il Padre. Anche lui era dispiaciuto che me ne andassi, ma voleva che la mia famiglia si riunisse. Andai nella sua cella per l’ultimo saluto. Mi feci accompagnare da un amico fotografo perché volevo partire con una foto ricorda assieme al Padre. Glielo dissi e gli chiesi di posare accanto a me. “Sì, sì, molto volentieri”, rispose. Mi avvicinai e lo presi sottobraccio. Il mio amico puntò la macchina fotografica, ma Padre Pio disse: “Non qui. Lo sai che non posso farmi fotografare qui nel convento”. Mi misi a ridere: “Ma, Padre”, dissi, “in tutti questi anni ti ho fatto centinaia di foto qui in convento, non vedo perché non se ne possa fare un’altra”. E lui serio: “Ma tu sei un ugliò mentre quello è un fotografo vero. Ho l’ordine dai superiori di non farmi fotografare in convento”, e si avviò per scendere giù, dove facemmo la foto insieme. Capii allora che, in tutti quegli anni, ero riuscito a fare tante fotografie in convento a Padre Pio perché per lui ero un ragazzo, il chierichetto, e non un fotografo autentico».
Tornando con i ricordi ai tempi lontani, Elia Stelluto ricorda che una volta fu aspramente rimproverato dal Padre. «Abresh mi aveva chiesto una foto particolare, voleva un bel primo piano delle stigmate. Il Padre, durante la celebrazione della Messa, si toglieva i mezzi guanti che coprivano le piaghe delle mani e al termine, quando dava la benedizione, era possibile vedere la sua mano destra alzata, piena di sangue. Abresh mi chiese di fotografare il Padre proprio in quel momento. Era una foto difficile. Nella chiesa, a quell’ora del convento, non c’era la luce. Per avere una buona immagine occorreva avere un flash. Non lo avevo mai usato prima e allora me ne procurai uno. Quando la scattai, la chiesa fu illuminata da un forte lampo. Padre Pio si spaventò e cominciò a gridare: “Chiamate i carabinieri, arrestate quel pazzo”. Mi sentii un verme. La gente mi guardava». Questa è la foto con il flash di cui parla Elia Stelluto nel racconto. «Confuso e addolorato, raggiunsi il Padre nella sacrestia. Andai a baciargli la mano come facevo sempre e gli dissi: “Padre, devi scusarmi, non pensavo che ti arrabbiassi tanto”. “Ah, eri tu che volevi uccidermi”, disse lui. Sorrideva però e capii che non era più arrabbiato. “Mi hai accecato”, disse ancora. “Non vedevo più niente, avevo perduto l’equilibrio e stavo per cadere a terra”. “Mi dispiace, non pensavo che causare un guaio del genere”, risposi. “Ma perché usi quel mastrillo”, disse indicando il flash (“mastrillo” in dialetto significa trappola per topi). Gli spiegai che in chiesa non c’era luce a sufficienza e quel mastrillo era necessario. Ascoltò poi, incredulo, aggiunse: “Uagliò, non ti complicare la vita. Fa tutte le foto che vuoi, ma senza quel mastrillo. Verrai che verranno bene lo stesso”. Lo salutai e me ne tornai da Abresh. Avevo il morale a terra e avevo deciso di non usare più il flash per fotografare Padre Pio.
Ma Abresh mi incaricò di fare, il giorno dopo, sempre nel corso della Messa di Padre Pio, le foto a un bambino che il Padre avrebbe ammesso alla prima Comunione. Rifiutai perché non volevo usare il flash. Durante la notte continuai a pensare alle parole del Padre: “Fai tutte le foto che vuoi ma senza quel mastrillo e vedrai che verranno bene”. Se lui mi aveva detto così, dovevo obbedire. Al mattino andai alla Messa e fece le foto senza il flash. Usai dei tempi e delle aperture di diaframma scelte a caso. Non avevo neppure il cavalletto per tenere la macchina immobile. Quando sviluppai, rimasi interdetto: le foto erano bellissime, sembravano fatte alla luce del sole e nessuna era mossa». Negli ultimi anni Elia Stelluto è diventato un “ambasciatore” di Padre Pio. Ha tirato fuori dai suoi archivi migliaia di negativi di foto da lui scattate al Padre, ha scelto le immagini più suggestive e le ha stampate su legno, in formato grande, ottenendo delle tavole straordinarie che presenta in singolari e bellissime mostre. Ha presentato le sue foto in varie città italiane, ma anche all’estero, ed è stato invitato la mostra persino in Australia. San Pio gravemente malato nel maggio del 1959. Tra le varie immagini ce ne sono alcune inedite, mai viste. «Questa, per esempio», dice Elia Stelluto, mostrando una foto dove si vede Padre Pio a letto. «Risale al maggio 1959. Da diversi mesi il Padre era ammalato e non scendeva in chiesa neppure a dire la Messa. Si sussurrava che avesse un tumore ai polmoni e che dovesse morire. Andavo spesso a trovarlo. Un giorno entrai nella sua cella ed era addormentato. Mi avvicinai al letto e lui non si mosse. Avevo la macchina fotografica e non resistetti al desiderio di fotografarlo. Scattai alcune immagini e poi me ne andai. Non gli dissi mai nulla di quelle foto ma sono sicuro che lui aveva visto tutto. Comunque restano immagini straordinarie. Non solo perché si vede Padre Pio a letto, con un’espressione del viso sofferente. Ma perché documenta la semplicità e la povertà della sua camera».
«Un’altra foto inedita è quella che scattai una mattina del settembre 1964. In quel periodo Padre Pio stava facendo gli esorcismi a una ragazza indemoniata. Il demonio lo minacciava. Una mattina, l’indemoniata, passando in mezzo alla gente in attesa della Messa di Padre Pio, continuava a ripetere con voce cavernosa: Questa notte gliel’ho date io a quel vecchio, e vedrete che non scenderà per la Messa. Infatti era accaduto proprio così. Durante la notte nella cella del Padre c’era stato il finimondo. I confratelli, sentendo quei rumori terribili, erano accorsi e avevano trovato il Padre a terra, pieno di lividi sanguinanti ed erano stati costretti a chiamare il medico. Era così mal ridotto che non era potuto scendere per la Messa. La mia foto risale al giorno successivo e sul suo viso si vedono ancora i lividi delle botte che aveva ricevuto da Satana».
«Simpatica è la foto del Padre che si mette in bocca una caramella, ricevuta in dono da un fedele».
Padre Pio con l'onorevole Aldo Moro, presidente del Consiglio
«Importante quella con l’onorevole Moro, mentre sorride conversando con quell’uomo politico. Però subito dopo averlo salutato, il Padre era diventato di colpo triste e aveva detto: “Quanto sangue, quanto sangue”, intuendo forse la tragedia che sarebbe accaduta». «Ci sono poi le foto dell’ultima Messa, che documentano come dalle mani di Padre Pio erano scomparse le stigmate. Di quella Messa realizzai anche un filmino, che feci poi commentare al professor Enrico Medi, il celebre scienziato figlio spirituale di Padre Pio. Quel documento eccezionale è rimasto sempre nei miei cassetti e l’ho tirato fuori nel 1999, quando Padre Pio è stato beatificato, realizzando una videocassetta». |
Estratto del libro “Padre Pio santo. La vita e i miracoli”, di Roberto Allegri (2002). |
Elia Stelluto chiede a Padre Pio il permesso di poter usare il flash (in basso accanto alla sedia) |
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