Capitolo 5: A 30 anni
Anno 1917 |
|
Licenza di 6 mesi |
|
Il 2 gennaio 1917 Padre Pio, da Napoli,
dove stava facendo il servizio militare, scrisse a padre Benedetto:
«Deo
gratias! Stamane ho passato la visita ed hanno scritto sulla base: “Infiltrazione
polmonare ad ambo gli apici e catarro bronchiale cronico diffusissimo”.
Quindi si limitano ad accordarmi sei mesi di convalescenza. Pazienza!
meglio questo che nulla. Stasera si spera che mi metteranno in uscita e
domattina, a Dio piacendo, andrò a visitare la Madonna a Pompei e, dopo
una breve apparizione a Pietrelcina, ritornerò subito in residenza».
(Epistolario,
volume
I, pag. 853)
Padre Pio venne dimesso dall'ospedale
militare la sera stessa del 2 gennaio 1917.
I medici militari, al momento delle dimissioni, gli dissero che presto
gli avrebbero spedito nel comune di residenza la «licenza illimitata in
attesa di congedo».
Invece, su un foglio consegnatogli prima di uscire
dall’ospedale (trattasi forse della «base» di uscita dall’ospedale) era
scritto: «licenza di convalescenza di sei mesi. Successivamente
attendere ordini». Una situazione equivoca. Padre Pio era «in licenza
illimitata», cioè riformato, oppure in «licenza di convalescenza di sei
mesi»? E, in quest’ultimo caso, cosa significa «successivamente
attendere ordini»? La faccenda si chiarirà in qualche modo sei mesi
dopo.
|
La Stazione Centrale di Napoli in
Piazza Garibaldi, ai tempi di Padre Pio
|
Ritorno a San
Giovanni Rotondo
Uscito dall’ospedale, Padre Pio si avviò subito verso la stazione, prese
il treno e si recò direttamente a Pietrelcina, dove rimase un paio di
giorni.
Per la precarietà del suo stato di salute, non passò per Pompei,
come aveva scritto a padre Benedetto.
Venerdì mattina, 5 gennaio, partì da Pietrelcina
per Foggia. Il giorno successivo, 6 gennaio, tornò a San Giovanni
Rotondo.
Lo stesso giorno inviò una lettera a padre Benedetto facendo
presente le proprie perplessità sulla sua posizione: «Ignoro poi se mi
abbiano riformato oppure mi abbiano rimandato in licenza di
convalescenza. Mi fu detto che mi mandavano in licenza di convalescenza
per sei mesi, ma sulla licenza che mi hanno dato non si determina niente
e né viene assegnato il tempo quando dovrò ripresentarmi. Si legge, sul
foglio che mi venne dato, che mi mandavano in questo comune in licenza
straordinaria illimitata, in attesa di foglio di rassegna».
(Epistolario
I, 857-8) |
Febbre a 52°
Febbre alta
Il 27 gennaio 1917 Padre Pio si ammalò per la prima volta a San Giovanni
Rotondo, di polmonite, e la febbre fece salire il termometro molto in
alto, tanto da farlo scoppiare, come egli stesso, ormai in via di
guarigione, il 12 febbraio fa sapere a Maria Gargani:
"Il calore della
febbre era tanto eccessivo da far scoppiare il termometro."
(Epistolario
III, 266) (Mischitelli, Padre Pio, 163-4)
Il termometro da bagno
Nel gennaio 1917, subito dopo il suo ritorno a San
Giovanni Rotondo, Padre Pio cadde bruscamente ammalato.
La febbre era così alta
che faceva scoppiare i termometri normali.
Il guardiano del convento, Padre
Paolino da Casacalenda, andò a prendere un termometro da bagno e, come racconta
nelle sue memorie: "Il mio stupore crebbe in maniera straordinaria quando
controllai il termometro dopo averlo ritirato dall'ascella del Padre.
Mi accorsi
che nella colonnina il mercurio aveva raggiunto i 52 gradi!
Guardai il malato,
gli posai una mano sulla fronte: invece di bruciare era fresco e con il colore
di uno che non ha la febbre." (Chiron, Una strada, 99-100) (Paolino da
Casacalenda, p. 86)
|
I termometri usati da Padre Paolino da
Casacalenda nel 1917, con certificato di autenticita'
Padre Paolino da Casacalenda
Il
Dr. Giuseppe Avenia riporto' in questa testimonianza scritta e
fotografica con certificato,
che nel 1941 stava accanto al letto di
Padre Pio
con Padre Damaso, il superiore, e Padre Ezechia.
Il dr. Avenia
mise il termometro sotto l'ascella di Padre Pio e in pochi secondi
il
mercurio raggiunse e supero' la sommita' della scala e il bulbo si
ruppe.
|
Viaggio a Roma
Viaggio a Roma per la sorella
Graziella
Il 16 maggio 1917, Padre Pio
intraprese il viaggio più lungo nella sua vita fu quando, assieme al Provinciale padre Benedetto, si recò
a Roma per accompagnare la sorella Grazia, di 22 anni, che, nel
monastero delle Brigidine, prese il nome di Suor Pia dell’Addolorata.
Il viaggio fino a Roma venne preordinato da padre Benedetto con
disposizioni di stile militare impartite a Padre Pio e trascritte in
una breve lettera del 10 maggio: «Caro padre Pio, la mattina del 16
dovete partire da Benevento con la corsa delle 9,05 e a Caserta scendere
prendendo là l’accelerato che parte per Roma alle 10,45. C’incontreremo
a Caianello alle 12,45. È l’unico orario possibile per arrivare di
giorno a Roma. Attenetevi ad esso impreteribilmente. Conviene che
passiate per Foggia dovendo forse rilevare qualche cosa di questo
guardiano. Il 14 venite qui; il 15 mattina alle 6,30 (unico treno
antimeridiano) ripartirete per Pietrelcina e il 16 scendete a Benevento
per proseguire l’itinerario suaccennato».
(Epistolario I, 894-5)
Roma fu la città più distante raggiunta da Padre Pio durante la sua vita. A
Roma si trattenne fino al 23 maggio e forse ne approfittò per ammirare palazzi
e monumenti e per visitare soprattutto le Catacombe, e sostando a lungo in
preghiera sulla tomba di San Pietro. Ma queste sono congetture. Nessuna
documentazione dettaglia il suo soggiorno a Roma. |
|
Convento
delle Brigidine in Roma, in Piazza Farnese
Suor
Pia dell'Addolorata, delle suore brigidine, al secolo Graziella Forgione,
sorella di Padre Pio
Suor Pia, in visita al padre, Grazio Forgione, a casa di Mary Pyle, dove
lui passò gli ultimi anni della sua vita.
|
|
|
Attesa di ordini
Il 30 giugno 1917, scaduti i 6 mesi di licenza, Padre Pio partì per Napoli e
rientrò al Corpo.
In quella data, nel foglio matricolare trovasi
scritto: «Rientrato al Corpo». Ma, non si sa perché, non venne
trattenuto.
E Padre Pio rientrò a San Giovanni Rotondo «in attesa di
ordini».
(Gennaro Preziuso, Padre Pio soldato, Edizioni
Padre Pio, San Giovanni Rotondo, 1996, pag. 43)
Nel 1917 furono richiamati alle armi sia Padre Pio che
Nicola, il fratello di Maria Pompilio.
Maria, mentre gli chiedeva una preghiera per
Nicola, ricevette la seguente risposta da Padre Pio: "Per San Giuseppe saremo di
ritorno io e lui."
Infatti Padre Pio fece ritorno il giorno 18 e Nicola rientrò
il 19 marzo 1918." (Marianna Iafelice, in Voce di Padre Pio, Settembre 2011, pag.
58-9)
|
Pellegrinaggio a Monte Sant'Angelo
|
Il primo luglio 1917
Padre Pio si recò in pellegrinaggio a Monte Sant’Angelo, nel
Santuario di San Michele, per venerare l’Arcangelo nella Grotta
dell’apparizione. Vi si recò sopra un carretto scoperto secondo le usanze del tempo. Il carretto fu messo a disposizione da Nicola Perrotti.
La comitiva, oltre che da Padre Pio, era composta da padre Paolino, e da
quattordici fratini. Era anche presente Rachelina Russo. Si erano
avviati alle ore tre e dovevano affrontare un percorso di 26 chilometri.
Padre Pio fece il primo tratto di strada a piedi, ma poi, stanco e
sofferente, salì sul carretto.
La notte, nonostante il periodo estivo,
vi fu un freddo intenso e il Padre ne soffrì molto. Si riebbe al mattino,
solo quando spuntò il sole. Celebrò la Messa all’altare del Santuario,
nella Grotta dell’apparizione.
Il pellegrinaggio si concluse dopo la
celebrazione della Santa Messa, un ultimo saluto all’Arcangelo e una
visita ad una benefattrice. (Peroni, Padre Pio, 210-1) |
|
Il Tempio di San Michele Arcangelo a
Monte Sant'Angelo |
|
"Disertore"
Il 18 agosto 1917, Padre Pio, avendo appena quel giorno ricevuto l’ordine di rientrare
immediatamente al Corpo
di appartenenza per il servizio militare, scrisse a padre Benedetto che
sarebbe partito il giorno dopo per Napoli perché era «stato richiamato
per la milizia telegraficamente». (Epistolario I, 930)
Quel giorno stesso, il maresciallo dei
carabinieri di San Giovanni Rotondo era alla ricerca di un soldato di
nome Francesco Forgione, sul quale pendeva la minaccia di una condanna
per diserzione non essendosi presentato al Corpo allo scadere della
licenza. E Padre Pio gli disse: «Ma Francesco Forgione sono io». Il maresciallo, stupito, chiese il motivo del suo comportamento.
E Padre
Pio rispose: «Sul foglio c’è scritto “attendere ordini” e l’ordine solo oggi è arrivato!».
La mattina del giorno seguente, 19 agosto1917, Padre Pio ripartì per
Napoli e si presentò al Corpo, dove venne scagionato da ogni
imputazione avendo mostrato il foglio di licenza nel quale era scritto
che era «in licenza straordinaria illimitata, in attesa di foglio di
rassegna».
Il giorno dopo, 20 agosto, presso l’Ospedale militare della
Trinità venne sottoposto a visita medica.
(Peroni, Padre Pio, 217-8) |
|
Ospedale militare e
Clinica Medica
Ospedale Militare di Napoli
Il 26 agosto 1917 Padre Pio scrisse a
padre Benedetto: «Ieri mattina sono stato visitato due volte, da un
capitano e da un maggiore e tutti e due
confermano la diagnosi fatta dagli altri.hanno qualificato la malattia per quella che a voi è nota, cioè per
infiltrazione degli apici polmonari. Tutti e due mi mandano in
osservazione per visita superiore».
(Epistolario I, 931)
Prima Clinica Medica dell'Università di
Napoli
Cinque giorni dopo, il 26 agosto,
scrisse un’altra lettera a padre Benedetto: «Ieri mattina sono stato
visitato due volte, da un capitano e da un maggiore, e tutti e due
confermarono la diagnosi fatta dagli altri. Mi fecero la base e mi
mandarono per altre osservazioni nella prima clinica medica, dove vi
passai ieri sera. Qui se ne passeranno almeno un’altra decina di giorni...
Spero che tutto finirà bene».
La prima Clinica Medica era una sezione del Policlinico della Regia
Università.
Durante il ricovero nella Clinica medica,
ciò che gli provocava maggior sconforto era il fatto di non potere
celebrare Messa, come si legge nella stessa lettera: «Sono estremamente
sconfortato per l’unica ragione che qui non si può celebrare, perché
manca la cappella, e fuori non ci è permesso di uscire. Che desolazione!
Piaccia a Dio cavarmi presto da questo tenebroso carcere».
(Epistolario
I, 931-2) |
|
Prima Clinica Medica dell'Università
di Napoli |
|
Idoneo ai servizi
interni
Nella Clinica medica Padre Pio rimase ricoverato fino al 4 settembre
1917,
giorno in cui, dopo una visita medica molto superficiale, fu giudicato «idoneo
ai servizi interni».
Essendo l’idoneità limitata ai servizi sedentari,
il Padre venne assegnato alla decima Compagnia di Sanità e aggregato al
quarto plotone, di stanza nella Caserma Sales di Napoli.
Quello stesso
giorno del 4 settembre Padre Pio, deluso e amareggiato, scrisse a padre
Benedetto: «Tutto è andato bene pel passato..., ma non così l’ultima
visita subita questa mattina dal colonnello, la quale visita si è
ridotta ad un semplice sguardo, molto stanco, che ha gettato sul mio
volto, senza altra osservazione. Egli dunque sentenzia col condannarmi
“idoneo ai servizi interni”... Eppure avrei voluto farvi sentire la
diagnosi uscitami dall’osservazione della Prima Clinica. Tutto il mio
corpo è un corpo patologico. Catarro bronchiale diffuso, aspetto
scheletrito, nutrizione meschina e tutto il resto. Mio Dio! quante
ingiustizie che si commettono».
(Epistolario I, pag. 937-8)
Un’altra lettera, con la stessa data
e dal contenuto identico, venne inviata da Padre Pio anche a padre
Agostino. (Epistolario I, pag. 938-9)
In divisa militare nella Caserma Sales
Il 4 settembre 1917, trasferito immediatamente nella Caserma Sales,
Padre Pio dovette,
lacrimando, togliersi il saio per indossare, per la prima volta, la
divisa militare.
In quella caserma il Padre provò tanto disgusto per le
oscenità cui dovette assistere. Faceva da tappabuchi, il piantone, il
facchino, lo spazzino. Un giorno, mentre puliva le latrine, gli ridevano
dietro, deriso e umiliato.
Padre Pio quindi non poté evitare il servizio militare, ma non aveva mai
smesso di chiedere raccomandazioni per evitare almeno di finire al
fronte. Aveva da poco indossato la divisa militare e proprio in quei
giorni la Commissione Medica Militare lo aveva incluso nel contingente
sanitario da inviare al fronte. Ma, grazie all’interessamento di
autorevoli amici, fu sottoposto ad una nuova visita medica, riuscendo
così a far commutare da provvisoria a definitiva la sua posizione di
idoneità solo ai servizi sedentari.
(Peroni, Padre Pio, 219)
Il suo stato di salute continuava a peggiorare e il suo aspetto
appariva sempre più sofferente. Un giorno fu mandato alla stazione per prelevare dei soldati malati. Giunti in caserma, il capitano, nel fare
la rassegna, disse di averne contati tredici. E Padre Pio: «Signor
capitano, sono dodici». E il capitano: «E voi, che siete? Sano o malato?
Non siete forse il più malato di tutti?».
(Renzo Allegri, 150)
Padre Pio, sempre più depresso nel morale, era ormai convinto che non si
poteva ottenere niente senza raccomandazioni. Il 10 settembre scrisse a
padre Agostino pregandolo di rivolgersi a donna Giovina «affinché mi
facesse raccomandare presso questi carnefici di superiori da un loro
parente residente qui in Napoli e che deve coprire una carica
altissima». (Epistolario I, 941)
Qualche giorno dopo, il 14 settembre, scrisse anche alle
sorelle Ventrella, informandole fra l’altro di essersi già rivolto al
professore che loro gli avevano consigliato: «Speriamo che la venuta del
professore faccia diradare queste dense nuvole che circondano il cielo
dell’anima mia. Io, appena ebbi la vostra lettera, in cui mi
consigliavate di scrivere anch’io al professore per raccomandargli la
mia causa, gli scrissi subito esponendogli a nudo i miei bisogni».
(Epistolario
III, 560)
In quei giorni Padre Pio scrisse anche ad un’altra figlia spirituale, Assunta Di
Tomaso: «Questa prova è affatto superiore alle mie forze e sento che la
vita mi si è arrestata. Supplica, scongiura ed importuna pure il divin
Cuore e la Vergine benedetta, affinché allontanino presto questa prova
da me, oppure me la mutino in un’altra, anche raddoppiata, ma là
all’ombra del sacro chiostro». (Epistolario III, 425-6)
Sono lettere con le quali Padre Pio
mostra una acuta sofferenza fisica e uno stato d’animo pieno d’angoscia.
Particolarmente drammatica la lettera da lui inviata, sempre nello
stesso mese di settembre, a padre Benedetto: «È inutile dirvi come mi sento nel fisico, mi sento molto accasciato e, se Gesù non mi sosterrà e
non mi verrà in aiuto, dovrò soccombere certissimamente. Mi
dispiacerebbe oltremodo uscire da questo mondo non dal chiostro ma per
la caserma, con questi stracci maledetti. Il solo pensarci mi fa
rabbrividire e mi gitta in una mortale tristezza».
(Epistolario I, 942) |
|
Padre Pio in uniforme militare è l'ultimo in basso a destra nella foto
ufficiale |
|
Ospedale militare della Trinità
Peggiorando lo stato di salute del Padre, il capitano medico
Giannattasio, ai primi di ottobre, dopo averlo visitato, dispose di
inviarlo presso l’Ospedale militare della Trinità, dove fu ricoverato
nel reparto misto (letto n. 53), diretto dal capitano Pizzini. Padre Pio
ne diede notizia a padre Benedetto e a padre Agostino. A padre Agostino
scrisse: «Da tre giorni mi trovo in questo Ospedale della Trinità,
mandatovi dal capitano medico del mio plotone per essere curato. La mia
malattia era giunta al punto di non plus ultra e per questo decise
finalmente di mandarmi qui».
(Epistolario I, 951)
E qui ricevette la visita di papà Grazio
e di molti suoi confratelli militari.
Qui gli venne concesso di uscire
dall’Ospedale per celebrare la Messa.
E fu qui che ricevette, il 24 e
il 25 ottobre, la visita di padre Benedetto.
Così Padre Pio ne dette notizia
a padre Agostino con lettera del 29 ottobre: «Mercoledì e Giovedì fui
allietato dalla presenza del Padre provinciale. Oh quanto è buono Gesù!
che anche nel dolore non lascia i suoi figli senza conforto».
Ma vi fu
anche qualche episodio increscioso, come quello di una suora in
servizio che pretese che Padre Pio, nonostante la febbre, spaccasse
legna. Ne fu dispensato grazie all’intervento di un ufficiale.
Licenza di 4 mesi
Il 3 novembre 1917, dopo la visita di un colonnello medico, gli
fu accordata una licenza di 4 mesi. Lo stesso giorno, scrivendo a padre
Agostino, commentò: «È poco, è vero, per le mie condizioni, ma, per i
tempi che corrono, possiamo e dobbiamo contentarci e magnificare il
Signore».
(Epistolario I, 958)
Prima di lasciare l’ospedale, Padre Pio firmò una dichiarazione con la
quale si impegnava a rientrare a San Giovanni Rotondo entro 8 giorni dal
6 novembre, giorno di inizio della licenza, e a consegnare ai
carabinieri di quel Comune la divisa militare. Infine, ritirato presso
la Caserma Sales una lira di trasferta e il biglietto ferroviario
Napoli - Benevento, si avviò alla stazione.
|
|
L'ombrellino di carta
Il 3 novembre 1917
lungo il tragitto verso la stazione, Padre Pio fece
un’esperienza che egli stesso poi racconterà così ad un gruppo di
confratelli e di figli spirituali:
«Uscito dall’Ospedale, attraversai una piazza in cui si teneva un
mercato... Chi suona, chi canta, chi vende... Incuriosito, ma anche per
distrarmi un poco, mi soffermai ad osservare ciò che vendevano. Quando
ripresi la strada che portava alla stazione, mi si avvicinò un uomo che
vendeva ombrellini di carta. Prezzo base lira 1, ma poi finiva col
cederli per 40 o 50 centesimi. Io subito pensai: “Andando a casa vorrei
portare qualcosa ai nipotini”. Decisi di prendere dei ricordini, ma,
poiché ero possessore di una sola lira, dissi tra me: “Se la spendo,
come faccio ad arrivare a Pietrelcina?”. Mi rimisi in cammino... Giunto
allo sportello della biglietteria, feci vidimare lo scontrino da
viaggio.
Mentre mi avviavo al lato partenze, un altro uomo che vendeva
ombrellini cominciò a dirmi: “Capura’, capurà, accattateve i ‘mbrellini”...
Io non gli davo retta, ma lui continuava a camminare a fianco a me...
Visto che quel povero uomo si affannava a seguirmi, mi girai e dissi:
“Oh! Uagliò, nun voglio niente...”. Testardo e pedante come tanti
venditori ambulanti, ricominciò: “Capurà’, tengo e figli, fatemi
guadagnà qualche cosa. Pigliatevi ‘o ‘mbrellino” e, porgendomelo, disse:
“Per carità, prendetelo, portate un ricordo ai vostri cari”. A tali
parole io proposi: “A cinquanta centesimi mo vulite da’?”. Intanto
veniva fischiata la partenza. Pronto, salii sul treno. Affacciato al
finestrino e guardando quel poveretto che aveva sprecato tanto fiato
per vendere un ombrellino e portare il pane ai figli suoi, presi 50
centesimi e l’ombrellino che per forza m’aveva messo tra le mani e dissi:
“Va’, prendi tutto e che Iddio ti benedica”. Felicissimo, mi salutò e
andò via."
(Giannuzzo, Padre Pio, 117)
|
|
Il caffè nella stazione
di Benevento
Il 4 novembre 1917 "ero stanco e febbricitante... Il treno giunse a Benevento con molto
ritardo. Appena sceso, mi precipitai fuori dalla stazione, ma la
corriera per Pietrelcina era già partita.
Dovetti purtroppo pernottare a
Benevento... Cercai un posto nella sala d’aspetto, ma, ahimè, era
affollatissima. Intanto la febbre aumentava ed io non avevo la forza di
stare in piedi... Non potendone più, mi decisi ad entrare nel buffet. I
tavoli erano tutti occupati. Attesi con ansia che qualcuno si alzasse
per andar via...
Grazie a Dio, in un angolo del buffet si resero liberi
due tavolini. Mi accomodai in un cantuccio nella speranza di non essere
notato dal cameriere. Ero seduto da qualche minuto quando entrarono un
ufficiale e due sottufficiali, prendendo posto proprio al tavolino
vicino al mio.
Subito si avvicinò il cameriere... Fui costretto a
chiedere un caffè... Subito dopo l’ufficiale e i due sottufficiali
pagarono e andarono via...
Finalmente giunse orario della corriera. Mi
alzai, presi il coraggio a due mani e mi avvicinai al banco per pagare.
Il cameriere gentilmente mi rispose: “Grazie, militare, tutto è pagato”.
Siccome il cameriere era anziano pensai: “Forse mi conosce e vuole
usarmi questa cortesia”. Un altro pensiero mi diceva invece: “L’avrà
pagato l’ufficiale”.... (Gennaro Preziuso,
79-83) (Giannuzzo,
Padre Pio, 117) |
|
Pietrelcina
Il biglietto dell'autobus per
Pietrelcina,
Il 4 novembre 1917
"trovai al solito posto la corriera in partenza per Pietrelcina... Il
prezzo era di lire 1,80. Come avrei fatto con soli cinquanta centesimi?
Affidandomi alla volontà di Dio, salii sulla corriera e presi posto in
uno degli ultimi sedili per avere l’opportunità di parlare con il
fattorino e pagargli l’importo del biglietto all’arrivo... A fianco a me
prese posto un uomo piuttosto grande, di bell’aspetto...
L’autobus,
intanto, era partito ed il fattorino... man mano si avvicinava a me...
Non avevo ancora aperto bocca quando mi sentii dire: “Militare, il
vostro biglietto per Pietrelcina è già stato pagato”. Era il fattorino
che me lo porgeva....
A Pietrelcina, parecchi viaggiatori scesero e, prima di me, scese l’uomo
che mi stava vicino. Appresso a lui scesi anch’io e, giratomi per
salutarlo e ringraziarlo, non lo vidi più. Era sparito come per incanto!..
I miei non erano alla corriera perché non sapevano del mio arrivo».
(Gennaro Preziuso, 106-110) (Giannuzzo, Padre Pio, 117-8)
|
|
A casa in Pietrelcina,
5 novembre 1917
A Pietrelcina, ricevette la visita di parenti ed amici, che vollero
vederlo vestito da militare. Padre Pio, per farli contenti, indossò
l’uniforme dicendo: «Ora avete visto il pagliaccio!».
Il generale Cadorna
Il 24
ottobre
del 1917
cominciò la Battaglia di Caporetto, che durò fino al 19 novembre 1917
con
la grande disfatta degli italiani,
in cui
morirono 40.000 uomini, ne furono feriti 90.000 e 300.000 vennero fatti
prigionieri.
Il generale Cadorna, generale in capo dell’esercito
italiano, venne sostituito dal generale Armando Diaz e, non sopportando
il disonore della disfatta, disperato e depresso, decise di suicidarsi.
La notte
del 19 novembre 1917 diede
ordine alla sentinella di non far passare nessuno, dato che non voleva
essere disturbato. Pioveva, i tuoni si alternavano agli scoppi dei
cannoni austriaci e i lampi brillavano nell’oscurità. Il generale si
decise, prese una pistola dal suo cassetto e si risolse a togliersi la
vita.
Ma in quel preciso istante vide di fronte a sé la figura di un
frate e avvertì uno strano profumo di rose e violette. Prima di potergli
chiedere chi era e chi lo aveva fatto entrare,
si sentì abbracciare
da lui e udì una voce che gli parlava in nome di Dio e lo invitava a
farsi coraggio e a riporre l’arma.
Il generale Cadorna, pentito
della sua debolezza, volle parlare con il frate, il quale però
scomparve. Il generale pensò in continuazione a questo frate.
Terminata la guerra, vide la sua foto su un giornale e seppe che si
chiamava Pio. Non perdette tempo e si precipitò a San Giovanni Rotondo,
dove lo riconobbe e aspettò che passasse.
Quando Padre
Pio gli fu vicino, disse al generale: “L’abbiamo passata brutta
quella notte!”
(Positio IV, problemi
storici, pp. 535-536)
L’11 novembre 1917 Padre Pio
partì da Pietrelcina col primo treno. Arrivato a Foggia, prese la
coincidenza per Lucera con l’intento di recarsi a San Marco la Catola e
fare una visita a padre Benedetto. Però a Lucera non trovò posto nella
corriera per San Marco la Catola. Saputo che neanche il giorno dopo
avrebbe trovato posto, attese alcune ore l’ultimo treno per Foggia.
Da
Foggia partì per San Giovanni Rotondo, dove giunse il 12 novembre e dove
provvide subito a consegnare ai carabinieri la divisa militare. Trovò il
convento quasi vuoto, essendo molti religiosi sotto le armi.
(Gennaro
Preziuso, 110) (Giannuzzo, Padre Pio 118) |
|
|
La malaria della signora
Campanile.
Nina Campanile, figlia spirituale
di Padre Pio, scrisse nelle sue Memorie di Padre Pio che nel 1917 sua
madre si ammalò gravemente. Il medico di famiglia non c’era, e la visitò
un altro medico che le diagnosticò una polmonite doppia e le prescrisse
l’applicazione di sanguisughe.
La signorina Nina andò a chiedere a Padre
Pio di pregare, ed egli le disse: “Ma che polmonite e polmonite, ha
la malaria!”
Nina si precipitò a casa, buttò via le sanguisughe e le
medicine che la madre stava prendendo e, quando tornò il medico di
famiglia, riconobbe che si trattava di malaria. Con un trattamento
adeguato guarì in poco tempo (Positio I/1, p. 1269)
|
|