Consiglia De Martino
ricevette il miracolo della
Beatificazione

 

 

 

 

Il dr. Gerardo Violi, che ha lavorato per molti anni a San Giovanni rotondo, in nefrologia presso la "Casa Sollievo della Sofferenza,  ha fatto uno splendido studio del miracolo ricevuto da Consiglia. Lo riportiamo di seguito.

 

CONSIGLIA DE MARTINO è nata a Salerno il 20-01-1952, è casalinga, coniugata dal 1972 con Antonio Rinaldi, commerciante. All’atto del Processo il padre è vivente e gode di buona salute. La madre è deceduta all’età di 50 anni per tumore cerebrale.
Rivedendo l’anamnesi patologica relativa al ricovero del primo novembre 1995, riporto le parti più salienti.


La sera del 31 ottobre 1995, la Paziente, dopo due giorni di stress psico-fisico, per l’assistenza in ospedale ad uno zio, mentre cenava in casa di una parente, accusò, dopo un accesso stizzoso di tosse, una sensazione dolorosa, definita come “strappo”, “fitta”, localizzata nella parte alta dell’emitorace di sinistra, regione sternale, sopraclaveare. La paziente attribuisce il malessere alla intensa attività fisica espletata per l’assistenza a questo parente gravemente ammalato e poi deceduto. Nelle 48 ore precedenti, infatti più volte sollevò e aiutò a cambiare di posizione l’ammalato. Durante uno di questi sforzi, avvertì un dolore lancinante al petto come uno strappo. Ritornata al proprio domicilio, incominciò ad avvertire sensazione di malessere generale.


La mattina successiva, 1 novembre 1995, avvertì un mal definibile come sensazione di oppressione al petto, per cui riparò in casa della sorella Carmela. Qui si accorse, poco dopo, di un “senso di gonfiore” nella zona sopraclaveare sinistra ed un senso di soffocamento. Controllandosi allo specchio, notò, in tale sede una grossa tumefazione, della grandezza di un’arancia. Pertanto, spaventata, si fece accompagnare immediatamente, dal cognato Luigi Rinaldi, al Pronto soccorso degli Ospedali Riuniti di Salerno “S. Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona”. Appena giunta, il sanitario di guardia, dottoressa Silvana Anzalone, dispose l’immediata esecuzione di una TC total body senza mezzo di contrasto. L’esame evidenziò:


Presenza di raccolta fluida in sede latero-cervicale sn che si estrinseca in sede sopra e sotto-claveare omolaterale, comprimendo e dislocando le strutture viciniori verso il controllato. Disomogeneità con presenza di fluido anche in sede mediastinica e retrocrurale. Presenza di raccolta fluida della stessa densità di quella trovata a livello cervicale, nel retroperitoneo mediano adesa ai grossi vasi, agli psoas ed agli ureteri”.


Prontamente venne ricoverata presso la III Divisione di Chirurgia Generale ove, all’esame obbiettivo, le venne riscontrata la tumefazione, che il Medico descrive nel modo seguente: in fossa sopraclaveare sinistra presenta una tumefazione mobile, molle, fluttuante, non aderente ai piani sottostanti; di carattere non infiammatorio, ricoperta da cute normale. Nella serata del medesimo giorno, per meglio precisare la diagnosi, dopo alcune ore, la Paziente fu sottoposta a nuovo esame TC total body con mezzo di contrasto. Il secondo esame conferma il dato già acquisito.


“Si conferma quanto rilevato all’esame diretto con la presenza della raccolta fluida in sede latero-cervicale, sopra e sotto-claveare sinistra, mediastinica, retrocrurale e retroperitoneale mediana. Segni di compressione sulle strutture mediastiniche con modica dislocazione verso il controllato”.


Le caratteristiche semeiologiche: tumefazione mobile, fluttuante; di sede: regione sopraclaveare sinistra; le indagini strumentali eseguite, in particolare la TC, che definiscono la particolare localizzazione del versamento, sopraclaveare, mediastino posteriore, retroperitoneale, inequivocabilmente hanno fatto pensare ad una lacerazione e successiva rottura del dotto toracico. D’altronde, come con grande oculatezza, fu, poi, posta la diagnosi alla dimissione, avvenuta dopo cinque giorni, senza aver effettuata alcuna terapia né medica, né tantomeno chirurgica, evacuativa e/o diagnostica.


Infatti il giorno successivo, il caso venne esaminato dal Primario della Divisione. Egli prese visione delle TC eseguite, visitò la sig.ra De Martino e pose diagnosi di rottura o lacerazione del dotto toracico conseguente a trauma con imponente versamento di liquido linfatico, stimato in circa due litri, e pose, inoltre, indicazione ad un intervento chirurgico non essendo attuabile alcun’altra terapia.
Per poter meglio comprendere il caso clinico e dare una giusta comprensione al tutto, in quanto, talvolta, qualcosa potrebbe apparire lacunosa, credo sia opportuno ricordare brevemente la fisiologia e l’anatomia della linfa, della circolazione linfatica e dei canali collettori linfatici.

 

 

 

 

 


In condizioni ordinarie la linfa si forma a partire dal liquido intercellulare, fuoriuscito in eccesso dai capillari, aumentato a livello del tratto intestinale, del fegato, e del cuore.


La quantità di linfa che si forma è discontinua e variabile, comunque è stata calcolata intorno a 4 ml/min/Kg; alcune sostanze possono aumentare tale produzione o con un’azione lesiva sull’endotelio capillare o variando le pressioni oncotiche. Viene prodotta, specialmente nel primo caso, una linfa oseremmo dire “più densa”, con abbondante contenuto proteico.


La composizione della linfa varia secondo il territorio dal quale proviene; la linfa proveniente dall’intestino, contiene prodotti di assorbimento , oltre a contenere i materiali elettrolitici cristalloidi identici a quelli del plasma; praticamente è nella stessa concentrazione, in proteine lievemente inferiori, anche se quella del dotto toracico giunge a possedere quasi tante proteine quanto il plasma ed uguali ad esse.


La linfa del dotto toracico è particolarmente ricca di grassi, ai quali deve il suo aspetto lattescente, tale aspetto è specialmente accentuato durante il periodo di assorbimento intestinale. Contiene inoltre gli elementi figurati, praticamente la quasi totalità di linfociti. La densità della linfa è leggermente superiore a quella del plasma. La viscosità è alquanto inferiore di quest’ultimo.


Tra le altre funzioni vi è quella di trasporto delle proteine, di queste particolarmente l’albumina, sfuggite al compartimento vascolare; se non avvenisse tale trasporto ci sarebbe un accumulo nello spazio interstiziale di tali proteine che agirebbero aumentando la forza oncotica; si verrebbe a creare un edema progressivo per richiamo continuo di acqua in tale sede.


Per tali caratteristiche una volta che si crea uno spandimento nelle cavità o una stasi nell’interstizio, vedi elefantiasi arti inferiori, così detto “edema duro”, il riassorbimento avviene molto, ma molto lentamente, oppure diventa saccato.


Vorrei soffermarmi brevemente sull’anatomia dei canali collettori linfatici: il dotto toracico ed il dotto toracico di destra.
Il dotto toracico rappresenta il tronco collettore di tutti i linfatici del corpo, ad eccezione di quelli che provengono dall’arto superiore destro, dalla metà destra, della testa, del collo e del torace, che vanno a formare il condotto linfatico di destra.
Il dotto toracico nasce nella parte superiore della cavità addominale, come continuazione di una formazione sacciforme, la cisterna del chilo, o cisterna del Pecquet, che rappresenta il punto ove confluiscono tutti i tronchi linfatici sotto-diaframmatici. Da qui il dotto toracico attraversa il diaframma passando attraverso l’orifizio aortico ed arriva nel mediastino posteriore, che percorre verticalmente. Uscendo dal torace, giunge in corrispondenza della base del collo, a sinistra, ove termina sboccando, il più delle volte, nel punto di confluenza della vena giugulare interna con le vena succlavia.


I suoi rapporti: la cisterna del Pecquet, da dove nasce il dotto toracico, è situata profondamente. posta al davanti della colonna vertebrale, al di dietro dell’aorta, tra i due pilastri del diaframma. Il segmento cervicale del dotto toracico è posto nello spazio indicato quale trigono dell’arteria vertebrale. Il tratto terminale di questo segmento ha la forma di un arco con concavità inferiore. Il dotto comincia a piegarsi in avanti e lateralmente per contornare l’apice del polmone, ad un’altezza che corrisponde al margine inferiore della settima vertebra cervicale; qui viene ingrossato dai tronchi, giugulare, succlavio, bronco-mediastinico, si dilata a formare un’ampolla; poi si restringe di nuovo, proprio nel punto ove sbocca nel sistema venoso. Una piccola osservazione: nel vivente, assai spesso, il sangue venoso si spinge nell’ampolla, nonostante la presenza di due valvole, che si trovano nel punto di sbocco del condotto.

 

 

 

 

 

 


La terapia praticata e che viene riportata in letteratura è quella chirurgica; infatti, la risoluzione si ha sempre dopo la legatura del dotto associato al drenaggio toracico.
Già dalla mattina del 2 novembre, le condizioni cliniche evolvono in maniera inaspettatamente favorevole, senza che venga praticata alcuna terapia medica né tanto meno un intervento chirurgico. La tumefazione si riduce più della metà e la sintomatologia soggettiva regredisce completamente.


Il fatto che sia stato un episodio clinico acuto lo dimostra, oltre che la sintomatologia avvertita dalla Paziente e le indagini strumentali, anche l’esame emocrocitometrico eseguito il giorno 01-11-1995
Alla Paziente, ribadisco, non viene effettuata alcuna terapia né medica, né chirurgica.
Gli esami ematochimici, ricontrollati Il giorno dopo, cioè il 2-11-1995, risultano nella norma.
Il giorno 3 novembre la tumefazione è completamente scomparsa e la paziente asintomatica. In tale data si può datare la guarigione, secondo tutte le testimonianze raccolte.


La malata fu comunque trattenuta in ospedale per l’esecuzione di altri accertamenti.
Il giorno successivo, 4 novembre, un esame ecografico non evidenzia raccolta a livello addominale e la radiografia del torace, dopo circa tre giorni, recita: “Allo stato attuale non c’è esistenza di raccolte”
Lunedì 6 novembre viene eseguito un nuovo controllo TC total body con mezzo di contrasto: “Non alterazioni densitometriche parenchimali focali cerebrali. In asse le strutture della linea mediana. Sistema ventricolare regolare. Non alterazioni densitometriche parenchimali polmonari focali. Non tumefazioni linfonodali alle stazioni ilo-mediastiniche. Epatomegalia a densità omogenea. Milza, pancreas e reni senza evidenti lesioni focali. Non visibilità di processi espansivi in pelvi. Non raccolte latero-cervicali, mediastiniche od in addome. Non significative tumefazioni linfonodali alle stazioni addomino-pelviche”.


Persistendo condizioni di completo benessere, la paziente De Martino Consiglia viene dimessa dall’ospedale clinicamente guarita.
La diagnosi alla dimissione è stata così formulata: “Spandimento di liquido dalla fossa sovraclaveare sn lungo il mediastino posteriore ed il retroperitoneo fino allo psoas di sn di sospetta filtrazione traumatica del dotto toracico al suo sbocco”.

Ci troviamo, per le sue caratteristiche, di fronte ad un chilotorace con spandimento in retroperitoneo, qualunque sia stata la causa, anche se la clinica fa pensare ad un fatto traumatico.


La linfa per le sue caratteristiche, prevalentamente per la pressione oncotica, legata alle proteine (dalla cartella clinica risulta una riduzione delle proteine sieriche totali) prevalentamente albumina, ed altri componenti, simili a quelli plasmatici, come riferito nella premessa, determina un aumento di liquidi nel comparto dove avviene lo spandimento, salvo che non venga drenata. In questo caso, non solo non vi è stato un aumento del versamento nelle cavità in cui vi era linfa, ma al contrario una scomparsa così rapida, avvenuta in modo inspiegabile clinicamente e scientificamente, con la guarigione clinica della Paziente CONSIGLIA DE MARTINO.
La guarigione della signora Consiglia De Martino è una guarigione repentina e ritenuta eccezionale dai medici testimoni e dai vari periti per la modalità con cui è avvenuta.


L’eccezionalità che la caratterizza è legata alla pressoché immediata, completa e spontanea scomparsa di una ingente quantità di liquido, stimata in circa due litri, che per la sua composizione e per il suo elevato contenuto di sostanze, sicuramente non è suscettibile di riassorbimento spontaneo.


La risoluzione spontanea della patologia permette di evitare l’intervento chirurgico già programmato perché inizialmente ritenuto indispensabile ai fini della guarigione clinica: già nelle prime 24 ore di degenza, la sintomatologia soggettiva regredisce spontaneamente tanto che la paziente diviene completamente asintomatica e il giorno 3 novembre all’esame obiettivo, la tumefazione non è più rilevabile. Gli esami di controllo, come abbiamo già detto, eseguiti nei giorni successivi, confermano una evoluzione favorevole della patologia non evidenziando più la presenza di spandimento liquido.
Dopo la dimissione vengono eseguiti numerosi controlli clinici e strumentali da cui si evince che la guarigione è stata completa e duratura nel tempo.

La beatificazione di Padre Pio, avvenuta a Roma il 2 maggio 1999.

 

 

http://www.padrepioesangiovannirotondo.it/piosgr/?p=685

 

    Il Prof. Dr. Pietro Gerardo Violi




 

 

 


  •   Contaldi, Tommaso, Il miracolo della Beatificazione di Padre Pio, Edizioni Padre Pio, San Giovanni Rotondo, 2003 terza edizione
      


  •   Contaldi, Tommaso, Il miracolo della Beatificazione di Padre Pio, Edizioni Padre Pio, San Giovanni Rotondo, 2014 ultima edizione

  • Il dr. Tommaso Contaldi, di Pompei, gia' direttore sanitario delle Terme Stabiane, autore del libro, conosceva da anni La signora De Martino, di Salerno, in quanto suo medico specialista pneumologo di fiducia. Entrambi conoscevano da anni Fra Modestino che andava a Castellammaredi Stabia  per la cura delle acque e a Pompei, durante le due settimane di cure, era ospite del dr. Contaldi.
    Il 10 novembre 1995, Lina De Martino, insieme a suo marito Antonio Rinaldi, ando' a visitare Fra Modestino che era arrivato a casa del dr. Contaldi due giorni prima.

    Fu in quella occasione che il dr. Contaldi ebbe un'intuizione. Aveva visto un ematoma nella piega del braccio di Lina, ne chiese spiegazione, e lei disse che era stato provocato dall'ago della T.A.C, Il dr. Contaldi penso': "Come possono essere spariti in poche ore due litri e piu' di liquid linfatico se poche gocce si sangue stanno ancora li' dopo giorni senza essere riassorbite? Chiesi a Lina una dichiarazione scritta che mi sarebbe stata utile per la Causa della Beatificazione di Padre Pio. Lina si senti' indegna che "proprio lei" portasse Padre Pio alla Gloria, ma i suggerimenti di Fra Modestino la convinsero."
    la signora De Martino mise per iscritto, su un quadernetto una relazione personale dell'avvenimento, di pochi giorni prima.


     
    Relazione personale il giorno 10 novembre 1995
     Il giorno 1-11-1995 ero a casa di mia sorella quando improvvisamente ho accusato uno strano malessere, subito sono andata in bagno aguardarmi nello specchio e infatti mi ero notevolmente gonfiata sul collo all'altezza della clavicola sinistra.
    Un gonfiore chw mi aveva fatto proprio deformare la fossa clavicolare sinistra.  In quel momento presa dal panico chiamai mia sorella che a sua volta chiamo' mio cognato che dopo la mia insistenza mi porto' in ospedale. Arrivati all'ospadale fui subito sottoposta a visita e subito a una T.A.C. -
    Immaginate la mia paura quando sono stata sottoposta alla T.A.C. Avevo tanta paura ma anche tanta speranza perche' ho solo e unicamente pregato PADRE Pio e basta. Intanto il medico di turno mi ha fatto ricoverare e mi ha detto che nel pomericcio mi avrebbe sottoposta a una 2a T.A.C. con mezzo di contrasto.
    Si erano fatte le ore 14 quando in ospedale arriva mia figlia Michela che mi dice di aver chiamato San Giovanni Rotondo chiedendo di "FRA MODESTINO" il quale quando ha sentito solo il mio nome ha detto a mia figlia tua madre e' in ospedale ma doille di stare tranquilla che andra' tutto bene. Alle ore 17 io ho chiamato FRA MODESTINO per chiedere preghiere e lui mi ha assicurato che ma lessa delle 17.30 e il rosario delle 21sulla tomba del venerato PADRE PIO sarebbero state offerte per la mia guarighione. Alle ore 17.30 sono scesa giu' per la 2a T.A.C. con mezzo di contrasto.
    Durante la 2a T.A.C. non ho fatto altro che implorare PADRE PIO. Dopo la T.A.C. nel risalire in corsia con l'infermiera ho sentito un intenso profumo di fiori, in me si faceva strada la speranza ma non volevo illudermi. Ho pensato che quel profumo lo avesse addosso l'infermiera, ma quando la stessa mi ha riportato giu' per eseguire un ecodoppler non aveva niente.
    Il giorno 3-22-95 e' venuto in corsia il primario professore al quale ho fatto delle domande circa il mio caso e il prof. mi ha detto solo: "Signora quando si rompe un tubo cosa si fa?" Immaginate come mi sono sentita. Ho semplicemente invocato per tutta la giornata nel mio cuore PADRE Pio chiedendo a lui di essere il mio chirurgo.
    Nel pomeriggio del giorno 3, mentre conversavo con mia figlia, ho sentito chiaramente sul collo come se qualcuno mi stesse dando dei punti, ma tutto cio' non era doloroso. Era sopratutto una sensazione di dolcezza che mi invadeva l'animo.
    Siamo ormai al venerdi' 4 ore 7.30, nel dormiveglia mi sento dire: "Lina sei guarita." Intorno al mio letto di nuovo il profumo di fiori; al sentire il profumo mi sono alzata in mezzo al letto e ho chiesto agli altri ammalati se avessero messo del profumo. Alla mia richiesta mi e' stato risposto in modo negativo.
    Il sabato e' venuto a farmi visita un amico tecnico di radiologia, il quale ha voluto farmi una radiografia al torace e una ecografia addominale. Ho sentito chiaramente il medico che mi aveva fatto l'ecografia dire questa Parole: "Questa signora non ha niente, il liquido si e' assorbito." Il sabato sera ho chiamato FRA MODESTINO. Mi ha detto: "Lina, il liquido si e' assorbitopero' segui i consigli dei Dottori, fatti fare gli ultimi accertamenti. In verita' io il SABATO VOLEVO FIRMARE per andarmene a casa.
    Comunque sono rimasta fino al lunedi' successivo senza avvertire alcun fastidio. Pa premettere che durante tutto il periodo di degenza non mi e' stato somministrato nessyn tipo di farmaco, ne' mi e' stata praticata terapia di alcun genere, ma solamente indagini diagnostice.
    Il lunedi' mattina mi e' stata ripetuta la T.A.C. con mezzo di contrasto e sono stata dimessa completamente guarita."

    Il caso fu approvato per considerazione come miracolo, e incomincio' la raccolta di tutti i dati clinici che corroboravano la descrizione, e la testimonianza di tutti i medici che si erano avvicendati con la paziente. Tutti i dati e le testimonianze erano pronti per il Processo Diocesano a Salerno, ma non si riuscivano a trovare le T.A.C. Esse furono finalmente ritrovate l'8 gennaio 1998. Una del primo novembre 1995 e l'altra del 6 novembre 1995.

    Padre Pio fu beatificato il 2 maggio 1999 per il miracolo ricevuto da Lina De Martino nel novembre del 1995.

  •   
          Consiglia Di Martino w il marito Antonio Rinaldi in udienza dal Santo Padre il 3 maggio 1999


                   
  • Beatificazione 2 maggio 1999

    Consiglia De Martino e il marito Antonio Rinaldi con fra Modestino, a casa del dr. Tommaso Contaldi, nel novembre 1992

    FRa Modestino a Lina De Martino al Tribunale Ecclesiastico della Curia Arcivescovile di Salerno
  • Presiede l'Arcivescovo Gerardo Pierro


  •      Localizzazione del dotto linfatico toracico di sinistra, sede della rottura e versamento


      Prima pagina della relazione personale di Consiglia Di Martino

          Attestato del dr. Ferdinando Basile

       Scheda di dismissione ospedaliera

           Consiglia Di Martino prescelta dal Signore per glorificare il suo diletto figlio Padre Pio (Contaldi, Il Miracolo, 5)
       San Giovanni Rotondo, marzo 2001. Fra Modestino benedice il libro nelle mani dell'autore T. Contaldi (Contaldi, Il Miracolo, 15)  

 


Dr. Orazio Giannella
La prova decisiva per elevare agli altari il frate di Pietrelcina è racchiusa nel caso di Consiglia De Martino. La testimonianza-chiave è stata quella resa in Vaticano da Orazio Giannella, medico curante della donna salernitana salvata da un miracolo di Padre Pio che il 31 ottobre 1995  avvertì lancinanti dolori al collo ed al torace. All'ospedale san Leonardo, la diagnosi fu terribile: rottura di un dotto linfatico, all'altezza del torace, con la fuoriuscita di circa due litri di liquidi. "La signora De Martino -dichiarò lo specialista - fu visitata da professori di Roma, primari napoletani e celebri ematologi. Zero speranze. Giannella stava assistendo all'agonia della sua paziente quando la sentì sussurrare: "mi lasci andare a casa, mi sento bene, stanotte ho sognato Padre Pio". Il medico sentì sprigionarsi dal lettino della malata un odore di fiori, "il profumo dei miracoli di Padre Pio". Le condizioni di salute mutarono all'improvviso. "Notai che la tumefazione cervicale, grande il giorno prima come un'arancia e che conteneva quattro litri di liquido, ora aveva assunto le dimensioni di una piccola nocciola- raccontò il medico- in cuor mio, pensai che la scienza era estranea a quella improvvisa guarigione".  (La stampa, opinioni,  di Giacomo Galeazzi, 14 giugno 2009)
 
http://www.lastampa.it/2009/06/14/blogs/oltretevere/benedetto-pellegrino-Z1qSY6jW9p7ZAzzCUXQ8CK/pagina.html

 

 

 

 

Matteo Pio Colella
ricevette il miracolo di
Padre Pio Santo

 

 

 

 

 

  Il Dr Pietro Gerardo Violi – medico chirurgo, nefrologo, in San Giovanni Rotondo, ha fatto uno studio accurato anche del miracolo della canonizzazione, dal punto di vista scientifico e professionale. Lo riportiamo.


Il piccolo COLELLA MATTEO PIO è nato a San Giovanni Rotondo il 4 dicembre 1992. La famiglia è composta dal papà, Colella Antonio, di anni 42, medico;  dalla mamma Ippolito Sanità Maria Lucia di anni 40, insegnante; dal fratello, Alessandro di anni 14.

Il mattino del 20 gennaio 2000 il bambino va regolarmente a scuola, in condizioni perfettamente normali.

 

La mamma così ricorda: “E’ oggi che incomincia l’avventura straordinaria della mia famiglia, l’incubo terribile terminato poi come una favola”.

Il bambino a scuola accusa forte mal di testa. La maestra così ricorda quei momenti: “Durante la mia ora di lezione il piccolo Matteo Pio ha cominciato a manifestare brividi generalizzati e teneva il capo inclinato verso il banco. Alla mia richiesta di riferire che cosa egli avvertisse, il piccolo rispondeva solo con cenni del capo, restando verso di me, come se avesse difficoltà a sollevare il capo”.  

 

 Vengono avvisati i genitori, che vanno ad accertarsi del motivo. Il papà, medico, andato a scuola trova Matteo vicino al termosifone  tremante. Constata febbre elevata, circa 40°C, brividi; il bambino presenta sonnolenza e torpore, successivamente vomito.

Viene trasportato al proprio domicilio; gli viene somministrato un antipiretico, con scarso risultato, infatti la febbre si mantiene sempre alta e si associa un nuovo episodio di vomito alimentare. Quel pomeriggio il papà sta da solo con l’altro figliolo, Alessandro, in quanto la moglie è a Foggia per motivi di lavoro.

 

La febbre, nonostante i presidi terapeutici, non recede, per cui il papà chiede il consulto di un pediatra, che per motivi di lavoro si reca dopo qualche ora. Il pediatra visita il bambino e constata febbre elevata e una discreta diminuzione della vigilanza complessiva. Allerta il papà per eventuale ricovero ospedaliero, se dovessero comparire segni meningei, ancora non manifesti in modo eclatante; tutta la sintomatologia la si attribuisce alla febbre elevata. Ancora più accortezza si deve prestare alla eventuale comparsa di manifestazioni petecchiali.

 

Verso le ore 20,30, sempre del 20 gennaio 2000, ritorna la mamma da Foggia, entra nella camera, saluta e chiama Matteo, ma il bambino, con gli occhi persi nel vuoto, non la riconosce. La mamma si avvicina per dargli un bacio e si rende conto che ha delle macchie più o meno grandi, violacee sul collo e sul torace. Si scatena un po’ il panico. Consultato telefonicamente il pediatra, che lo ha precedentemente visitato, consiglia il ricovero immediatamente, anzi sospettando una infezione meningococcica, è lui stesso ad avvisare il medico di guardia del reparto di Pediatria e il collega più anziano reperibile.

Vengono altresì informati i parenti della gravità del caso.

 

 

RICOVERO  IN  OSPEDALE – PEDIATRIA

 

Si prepara in fretta tutto e si accompagna il piccolo nell’Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza, Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico, di San Giovanni Rotondo. Giunti al Pronto Soccorso, Matteo,  è saporoso, risponde con difficoltà agli stimoli verbali; viene adagiato sulla barella e portato nella corsia di Pediatria.

Alle 21,20 della stessa giornata viene ricoverato nella Divisione di Pediatria.

 

Il pediatra di turno sta attendendo Matteo Pio in medicheria, in quanto informato della gravità in cui versa il bambino. Le condizioni cliniche infatti, appaiono subito di notevole gravità; facies sofferente; la cute si presenta pallida, con petecchie per numero e diffusione in crescendo; il sensorio obnubilato.

Vengono eseguiti dei prelievi ematici e nel frattempo giunge il pediatra, amico di famiglia, che aveva visitato Matteo circa due ore prima. La sua sorpresa  è quella di verificare che la disseminazione delle lesioni petecchiali è stata rapida, a tal punto che esse coprono l’intera superficie corporea, indice prognostico di per sé negativo.

 

 

Nel frattempo ai due pediatri si aggiunge il reperibile, in servizio di pronta disponibilità. All’osservazione del medico il piccolo Matteo Pio presenta delle lesioni petecchiali, alcune delle quali già in evoluzione necrotica, localizzate alla cute degli arti inferiori, ai glutei, alla radice degli arti superiori bilateralmente; tali lesioni vanno aumentando di numero e di estensione. Le petecchie sono diffuse a tutto il corpo; inoltre presenta un notevole calo pressorio.

Alle 22,30 viene eseguita puntura lombare. Vengono praticate altre indagini strumentali.

 

Gli esami di laboratorio e strumentali confermano la gravità della malattia, che si è evoluta in 12 ore circa.

Quindi la clinica e gli esami mettono in evidenza già una situazione clinica di notevole gravità rapidamente evolutiva: e precisamente Meningite fulminante, complicata da DIC, ipotensione, compromissione renale. Ma la cosa più drammatica è la continua evoluzione della malattia con interessamento di altri organi man mano che trascorre il tempo.

In modo inesorabile, nelle ore successive, sono interessati, divenendo insufficienti, nove organi.

 

Appunto per questa evoluzione rapida, ai tre pediatri, che hanno in cura il bambino, dopo poco, si aggiunge un medico anestesista rianimatore, esperto di patologie pediatriche.

Tutti d’accordo si decide il trasferimento in Rianimazione II;

la patologia,  già grave all’ingresso in ospedale, tuttavia il trasferimento in Rianimazione è deciso congiuntamente dai presenti, dopo aver verificato che, ad onta della terapia intrapresa, le condizioni di Matteo Pio continuano a rimanere molto gravi ed a peggiorare.

 

Così ricorda la mamma:

“Intanto Matteo dopo un … consulto tra pediatri e rianimatori viene portato con la barella verso l’ascensore per essere trasferito in Rianimazione.

Io lo guardo avvilita per l’ultima volta, mentre si chiude la porta dell’ascensore”.

 

 

RIANIMAZIONE

 

Quindi  Il giorno 20 gennaio 2000, alle 23,30,  per ulteriore peggioramento  delle condizioni cliniche, viene trasferito in Rianimazione II.

Così viene riportato nella cartella clinica della Rianimazione II.

Le condizioni cliniche diventano sempre più critiche, nonostante i provvedimenti terapeutici intrapresi; infatti alle ore 2.00 del 21 gennaio 2000, sono trascorse poco più di 14 ore dall’insorgenza, si incomincia ad infondere, nor-adrenalina, dopamina, antitrombina III; la diuresi è scarsa; alle 4.00 si somministra 1 unità di piastrine; si inizia ipotermia fisica; si somministra Lasix, la diuresi è scarsa. Insomma, la notte non porta un miglioramento dello stato clinico al contrario, un progressivo deterioramento delle funzioni vitali sino al coinvolgimento di altri organi, divenuti insufficienti.

 

Gli esami eseguiti durante la notte e al primo mattino sono un segno della devastante patologia che sta per consumarsi.

Viene ripetuta la puntura lombare, il liquor è torbido,”scuro”, purulento.

Il mattino del 21 gennaio si consuma un dramma e si ravviva una speranza, inattesa.

Il mattino del 21 gennaio 2000, dalle ore 7,00 in poi,  la situazione clinica precipita con compromissione di tutti i parametri vitali. Diventa dapprima tachicardico (150/mn), tachipnoico. Il circolo è sostenuto dalla noradrenalina, nonostante ciò la pressione arteriosa non è rilevabile.

 

Intanto compare una grave insufficienza respiratoria.

Si procede ad intubazione endotracheale ed a ventilazione meccanica.

Alle 9.00 le condizioni cliniche sono disperate; anossia, cianosi generalizzata, nonostante la ventilazione meccanica assistita vi è desaturazione <30%; l’infermiera presente precisa 18%; edema polmonare acuto (ARDS); pressione arteriosa non rilevabile per  shock settico; tutto il corpo è ricoperto di petecchie per DIC; dalla tachicardia è passato alla bradicardia estrema per grave insufficienza cardiaca; non risponde ai diuretici per assenza di perfusione renale, per cui si instaura: insufficienza renale acuta. Tutto fa pensare che si sia instaurata una insufficienza surrenalica.

 

Per arresto cardiaco, si procede al massaggio cardiaco esterno.

Tale situazione clinica disperata con i suddetti parametri si prolunga per oltre un’ora.

Dopo ripetuti tentativi rianimatori, aspirazione di sangue dal cavo faringo-tracheale, l’addome è globoso, teso, si pensa al decesso di lì a qualche minuto.

 

I medici sanno bene di trovarsi di fronte ad una meningococcemia fulminante da Neisseria Meningitidis, evoluta in MOFS complicata da ARDS; l’esordio è brusco, non sono ancora trascorse 24 ore. Vi sono tutte le complicanze: collasso vasomotorio e shock, DIC, le lesioni petecchiali e purpuriche si allargano rapidamente sino a provocare estese emorragie cutanee; quando insorge il coma, la gittata cardiaca diminuisce progressivamente e la pressione arteriosa cade, è inevitabile il verificarsi del decesso.

 

Tutti coloro che sono presenti o, che, comunque,  vivono l’episodio, ricordano questo drammatico momento come qualcosa che resterà indelebile nella loro memoria.

La mamma del piccolo Matteo Pio così ricorda:

“La notte passa lenta, con una dilatazione dei minuti e dei secondi che mai, avevo provato prima.

Il pediatra,  che rimarrà con noi in tutti quei lunghi giorni, e mio marito continuano ad entrare ed uscire dalla porta della rianimazione, nel tentativo di elemosinare notizie sul bambino. Questa notte infinita trascorre trafiggendo i nostri cuori”.

 

Il ricordo del papà medico è ancora più drammatico:

“….Rimango assieme a Matteo. Vivo questo periodo nell’angoscia di sapere che da un momento all’altro posso perdere Matteo, con l’incubo della risposta degli esami ematochimici, della radiografia del torace, della diuresi e di tutti i parametri cardiorespiratori riprodotti sul monitor. Ricordo con molta angoscia il viso del primario, quando la mattina del venerdì 21 gennaio mi affaccio al  box dove è mio figlio. … Egli si gira verso di me e senza un cenno di saluto evita subito il mio sguardo. Capisco allora che per Matteo è finita”.

Il primario così ricorda: “Già in quei momenti ero convinto della impossibilità di un successo o quanto meno ero convinto che… sarebbero reliquari danni cerebrali e renali… Le dimensioni cardiache così come desunte dai radiogrammi, la necessità di un supporto circolatorio con dosi molto alte di adrenalina e noradrenalina (dosi che definirei molto alte anche per un adulto) mi facevano convinto di una possibile morte cardiaca improvvisa o comunque di una cardiopatia se il bambino fosse sopravvissuto”.

 

Lo stesso dottore così continua:

“Personalmente molte volte ho pensato che il decesso si poteva realizzare di lì a qualche momento. Ho ammesso a me stesso ed ho manifestato ad alta voce con i miei collaboratori in più di una occasione che non ritenevo possibile una risoluzione positiva. Aggiungo che nel caso specifico si sono realizzate delle circostanze favorevoli indipendentemente dalla nostra volontà”.

L’aiuto, medico rianimatore, che ha preso in cura, assieme ad altri colleghi, il bambino sin dal mattino del 21 gennaio 2000:

“….. Ci sono sicuro stati momenti di forte perplessità, sulla opportunità di proseguire le manovre rianimatorie medesime, in quanto persistevano condizioni di cianosi generalizzata estrema e midriasi fissa bilateralmente e bradicardia estrema protrattasi per almeno trenta minuti e più.

Questa bradicardia in un bambino è paragonabile all’arresto di circolo.

 

Durante questo periodo si è pensato al decesso del sanato che sembrava dovesse verificarsi da un momento all’altro”.

Così ricorda uno dei medici anestesisti rianimatori, esperto di patologie pediatriche, che, sin dal ricovero in pediatria, ha prestato soccorso al bambino:

“Ricordo che nel corso della mattina (21 gennaio 2000) è stata eseguita una puntura lombare con emissione, questa volta, di liquor torbido e purulento.

Nella fase acuta la prognosi era infausta quoad vitam e riservata quoad valitudinem”.

 

La descrizione dell’infermiera professionale della Rianimazione II, presente di turno la mattina del 21 gennaio 2000, è fortemente drammatica:

“Ricordo di aver preparato il materiale sterile per la esecuzione della puntura lombare. Nel frattempo sivaveva provveduto ad intubare il piccolo Matteo Pio.

Al momento del prelievo del liquor,  il liquor stesso si presentava denso  e di colorito nerarstro. Al termine della procedura,  rimettemmo il piccolo Matteo Pio in posizione supina, e ci accingemmo a fare la detersione delle vie aeree superiori. Fu in quel momento che incominciò a manifestarsi una estrema bradicardia ed una desaturazione dell’ossigeno ematico, come era possibile rilevare dal monitor situato accanto al paziente. La cute di Matteo Pio ha cominciato a presentarsi cianotica, le stesse petecchie, da un colorito rossastro, viravano verso il colorito nerastro. Ricordo con esattezza di aver seguito con apprensione la diminuzione del valore di saturazione dell’ossigeno sul monitor, che raggiunse anche il valore del 18%. La frequenza cardiaca era pari a 23 battiti al minuto

La pressione già bassa sin dall’inizio, è divenuta imprendibile; il piccolo Matteo Pio non si riprendeva.

Non c’era nessuna ripresa. Tutti eravamo disperati, gli occhi arrossati  e con le lacrime.

 

“Proprio in quel momento mi atterriva il pensiero di dover proprio io provvedere al lavaggio del cadavere, prima del trasferimento in camera mortuaria. Come lo vestiremo? Come dobbiamo riferirlo alla madre?”.

Dello stesso tenore sono le descrizioni di tutti quelli che sono presenti quella mattina e si sono precipitati ad aiutarsi l’uno con l’altro con la speranza di strappare quel bambino alla morte.

 

L’infermiere professionale di turno:

“Ricordo distintamente che le condizioni del bambino divennero ad un certo punto estremamente critiche.

Ricordo che uno dei medici ci riferì ad alta voce che a suo giudizio proseguire nei tentativi di rianimazione sarebbe stata una cattiveria”

La conclusione è che tutti pensano al decesso da lì a qualche minuto; tutti i presenti, dall’équipe medica al personale non medico,  sono convinti di tale evento.

E’ una situazione veramente disperata; quella situazione in cui si esauriscono le risorse della scienza; ed ecco che quel caso disperato, improvvisamente si risolve come d’incanto.

 

I medici e tutti i presenti  raccontano l’episodio ancora con le lacrime agli occhi, perché per tutti il bimbo  è considerato irrecuperabile.

Invece, improvvisamente, accade qualcosa di straordinario e con l’incredulità di tutti. Quel centro del respiro, probabilmente leso dalla meningococcemia, quel quadro toracico che, per ben due giorni, sino al 24, è di “tipo peggiorativo con aspetto a “vetro smerigliato ” di entrambi i campi polmonari, specie il destro, ove sembra associarsi minimo versamento pleurico”, riprendono ad ossigenare il sangue, anche se ancora non in modo perfetto, saturazione in O2 al 78% e poi al 100%; il cuore riprende la sua corsa, la pressione arteriosa è rilevabile, adeguata per perfondere adeguatamente gli organi. I parametri vitali si mantengono stabili e soddisfacenti.

 

Le complicanze hanno un andamento di veloce risoluzione, compresa l’insufficienza renale, E’ ovvio che nel frattempo sono state prese tutte le dovute precauzioni ed iniziato il dovuto trattamento.

Però passata la fase critica della sopravvivenza, incominciano a sorgere altri dubbi: quali saranno gli esiti? Un cervello, che, già affetto da meningococcemia, ha avuto un così lungo periodo anossico, che è stato per così lungo tempo non perfuso, che danni ha subito?

Questi interrogativi tormentano i medici;  la loro paura di trovarsi di fronte un bambino con dei deficit mentali o nervosi ha un fondamento scientifico. Infatti viene eseguito: EEG con il risultato seguente: “……. Marcate anomalie bioelettriche di tipo lento diffuse espressione di sofferenza di media entità”

 

Il bambino è sedato con morfina ed è curarizzato, per cui non si riesce subito a valutare la risposta del danno nervoso.

La sera del 31 gennaio, sono trascorsi appena 10 giorni,  si sospende la sedazione e la curarizzazione; riposa durante la notte.

Viene concesso ai familiari di essere presenti vicino al suo letto ed assisterlo dal punto di vista psicologico.

Ecco l’altra sorpresa che colpisce i medici. Il diario clinico del 3 febbraio riporta: “Il Paziente è stato tranquillo; vigile e cosciente”, è sempre in respiro assistito. Il pomeriggio del 4 febbraio: “Parametri vitali stabili. Paziente sveglio collaborante. Effettuato ciclo di respiro spontaneo. Il 5 febbraio: “Paziente sveglio, collaborante. Effettuato ciclo di respiro spontaneo. Non ha deficit motori”. Il 6 di febbraio: “Paziente ben sveglio, orientato, collaborante”.

 

Tale situazione sorprende tutti. Uno dei rianimatori:

Confermo che, tenendo conto di tutte le complicanze cliniche accadute, si sono sospettate delle lesioni cerebrali e sono rimasto molto sorpreso della rapidità di ripresa dell’attività cerebrale (sono rimasto molto sorpreso nel vedere il bambino ancora ricoverato in terapia intensiva mentre giocava alla playstation)”.

La stessa giornata, infatti, il bambino gioca alla playstation e dialoga tranquillamente con la mamma.

 

La sera del 7 febbraio: “Rimosso catetere vescicale”. L’8 febbraio:  al mattino: “Paziente sveglio, collaborante. Ha urinato spontaneamente, senza catetere vescicale”. Rimane in respiro spontaneo per tutta la giornata. Il suo essere, collaborante, orientato e ben sveglio, forse troppo, viene sottolineato dal personale infiermeristico, a tal punto da “prendere in giro” qualcuno dei componenti.

Il pomeriggio del 12 febbraio 2000 alle ore 16 viene ritrasferito in Pediatria; non vi è alcun motivo per la sua degenza in Rianimazione.

Il 26 febbraio 2000 viene dimesso dalla Pediatria, guarito.

 

Alcune considerazioni scientifiche:

la malattia che ha colpito il piccolo Matteo Pio è una complessa e  devastante situazione clinica, che si raffigura nella MENINGITE FULMINANTE evoluta nella MULTIPLE ORGAN FAILURE SYNDROME + ACUTE RESPIRATORY DISTRESS SYNDROME  (MOFS+ARDS).

La MOFS nel paziente Colella Matteo Pio ha interessato 9, dico nove, organi; ciò è stato  dimostrato in modo chiaro ed inequivocabile. Tutto ciò è stato ammesso dagli stessi medici che lo hanno avuto in cura.

Mi sembra opportuno ricordare che la letteratura internazionale,  nella casistica della percentuale di mortalità, si ferma all’interessamento di cinque organi, perché subito dopo, cioè a sei organi, non si è mai descritta la sopravvivenza di alcun paziente in quanto la mortalità è del 100%.

 

I Pazienti affetti da MOFS con interessamento di tre organi e che riescono a superare tale grave situazione clinica,  vengono considerati dei sopravvissuti ed hanno una ripresa molto, ma molto, lenta. Certamente questi pazienti non si svegliano, come è accaduto a Matteo Pio Colella, in circa 10 giorni chiedendo di succhiare un ghiacciolo alla Coca Cola e di giocare alla Playstation, pur essendo affetto, ribadisco, da: meningite fulminante + MOFS, con interessamento di 9 organi, ed ARDS. Il coma è stato così lungo perché  farmacologicamente indotto, ma nel momento in cui si sono sospese la curarizzazione e la sedazione con morfina e quindi il coma farmacologico, dopo circa dieci giorni, il bambino si sveglia come se non avesse avuto nulla e, appunto, chiede di gustare un ghiacciolo alla coca cola e di avere una playstation, che gli viene portata e con cui si mette a giocare; tutti noi sappiamo che attenzione e concentrazione richiede un gioco di tale portata al  “computer”; il bambino riesce a farlo ed anche bene, al punto da sfidare i medici in tale competizione.

 

Gli organi interessati dalla MOFS sono:

1 – Sistema nervoso.

2 – Apparato cardio-vascolare.

3 – Apparato respiratorio, con ARDS.

4 – Apparato urinario.

5 – Fegato.

6 – Apparato gastro-intestinale.

7 – Sangue e sistema coagulativo.

8 – Apparato endocrino, surreni.

9 – Cute.

 

ECCO L’ELENCO NUMERICO E NOMINALE DEGLI ORGANI INSUFFICIENTI CONTEMPOANEAMENTE, RESTIAMO SEMPRE PIU’ PERPLESSI, SORPRESI, OSEREI DIRE, INCREDULI DI QUESTA STRAORDINARIA GUARIGIONE. L’UNICO  ESITO PERCHE’ POSSA ULTERIORMENTE STUPIRCI  SONO MINUSCOLE CICATRICI.

 

http://www.padrepioesangiovannirotondo.it/?p=684

 

 

Il Prof. Dr. Pietro Gerardo Violi

 

 

Intense preghiere di molti

Per Matteo Pio Colella era iniziata una vera e propria crociata per ottenere la guarigione tramite il Beato Padre Pio. C'erano costantemente gruppi di persone, parenti, amici e sconosciuti, a recitare il rosario sulla tomba di Padre Pio, distante pochi passi dalla Casa Sollievo della Sofferenza, l'ospedale di Padre Pio dove Matteo era ricoverato. Quando Matteo si svegliò e riprese conoscenza il 6 febbraio, non vedendo Padre Pio, si rivolse alla mamma dicendo: "Voglio Padre Pio. Voglio Padre Pio." Interpellato subito dopo il suo risveglio, Matteo riferì un ricordo molto preciso e sconvolgente: “Durante il sonno io non ero solo. Ho visto un vecchio. Mi sono visto da lontano, in questo letto, attraverso un buco tondo. Io ero vicino ai macchinari e un vecchio con la barba bianca e vestito lungo e marrone, mi ha dato la mano destra e mi ha detto: ‘Matteo, non ti preoccupare, tu presto guarirai’, e mi sorrideva”.(Capuano, Con P. Pio, 235-40) (Ippolito, Il miracolo, 2002)

 

 

Matteo Pio Colella

 

 

Matteo Pio Colella in basso a destra  

Matteo riceve un premio scolastico

Matteo con Padre Gerardo da Flumeri

Matteo al microfono col Papa

 

 

Lina De Martino e Matteo Colella

De Martino e Colella a colloquio col Papa

 

 

     Maria Lucia Ippolito, mamma di Matteo Pio Colella ha scritto il libro "Il miracolo di Padre Pio" edito da Mondadori.  Nel libro la signora Ippolito descrive con obiettivita' e commozione la straordinaria vicenda del miracolo.
 

 


Testimonianza della signora Maria Lucia Ippolito sul miracolo del figlio Matteo Pio Colella
http://www.preghiereagesuemaria.it/sala/padre%20pio%20il%20miracolo.htm

 

 

 

 

 

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